IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE 
                          Sezione 1ª penale 
 
    Riunito  in  camera  di  consiglio  nelle  persone  dei   signori
magistrati: dott. Gabriele Perna, Presidente; dott.  Stefano  Sernia,
giudice rel.; dott.ssa Maddalena Torelli, giudice; 
    All'udienza del giorno 31 marzo 2014, nel processo nei  confronti
di D. M. J., F. E. e N. R., liberi contumaci, e N. R.,  detenuto  per
questa (ed altra) causa, presente; 
    Sentite le parti, ha pronunziato la seguente ordinanza; 
    All'udienza  del  6  novembre  2013   il   P.M.   ha   modificato
l'imputazione  di  associazione   di   stampo   mafioso,   contestata
all'imputato N. R., estendendone l'estensione  temporale  dalla  data
del giugno 2010 (oggetto dell'originaria imputazione)  a  quella  del
marzo 2013, cosi' ritenendo di adeguare l'imputazione alle risultanze
processuali. 
    La difesa, alla luce dei  principi  espressi  dalla  sentenza  n.
237/2012 della  Corte  costituzionale,  chiede  ammettersi  il  N.  a
giudizio abbreviato condizionato in relazione  all'imputazione  cosi'
modificata; in subordine, solleva  eccezione  di  incostituzionalita'
dell'art. 516 c.p.p., nella parte in cui non consenta all'imputato di
richiedere   riti   alternativi   in    relazione    alla    modifica
dell'imputazione operata dal P.M. con riferimento a  fatti  non  gia'
risultanti dalle indagini. 
    Il P.M. obbietta che tratterebbesi, piu' che di contestazione  di
un fatto diverso, della contestazione di un fatto  nuovo  secondo  la
disciplina dell'art. 518 c.p.p., in relazione al quale sarebbero  mal
poste le questioni sollevate dalla difesa, che potrebbe semplicemente
negare-giusta  quanto  appunto  previsto  dall'art.  518  c.p.p.,  il
consenso alla contestazione suppletiva e cosi' salvaguardare  il  suo
diritto  a  riti  alternativi  nel  procedimento   che   occorrerebbe
instaurare distintamente. 
    La  posizione  del   P.M.   non   appare   condivisibile;   nella
giurisprudenza e' costante la differenziazione tra  fatto  diverso  e
fatto  nuovo,  a  seconda  che  il  fatto  oggetto  di  contestazione
integrativa si ponga  in  termini  modificativi o  invece  aggiuntivi
rispetto alla originaria  imputazione;  di  fatto  nuovo  cioe'  puo'
parlarsi  solo  allorche',  rispetto  al  fatto   gia'   oggetto   di
contestazione, il P.M. introduca un fatto ulteriore,  ontologicamente
distinto rispetto a quanto gia' contestato, ed ad esso  non  connesso
ai sensi dell'art. 12, lettera b) c.p.p. (applicandosi in tal  ultimo
caso la disciplina di cui all'art. 517 c.p.p., analoga  a  quella  di
cui all'art. 516 c.p.p.); laddove invece, in tema di reati permanenti
in genere e di reato associativo in particolare, lo  spostamento  «in
avanti» della data di consumazione del reato non  vale  di  certo  ad
introdurre un nuovo delitto, ma a qualificare  la  durata  nel  tempo
dello stesso reato gia' contestato,  introducendo  un  elemento  che,
potendo  incidere  quanto   meno   sul   trattamento   sanzionatorio,
sicuramente integra quel sorgere di nuove esigenze difensive che sono
a fondamento delle garanzie previste per il caso della modifica della
contestazione e che  giustificano  il  ricorso  alla  disciplina  del
«fatto diverso» di cui all'art. 516 c.p.p. 
    Premesso che appare pacifico che la scelta di un  rito  piuttosto
che di un altro  sia  espressione  del  diritto  di  difesa  tutelato
dall'art. 24 Cost. (come peraltro gia' ritenuto  dalla  stessa  Corte
costituzionale, ad es. con le sentenze n. 265/1994  e  n.  333/2009),
nonche' - in quanto parte delle «possibilita' necessarie a  preparare
la difesa» - dall'art. 6, comma 3. lettera b) ultima  parte  CEDU  (e
quindi  dall'art.  117  Cost.  stante  l'obbligo  costituzionale   di
prestare   osservanza   agli   obblighi   nascenti    dai    trattati
internazionali cui lo Stato italiano  abbia  aderito),  e  che  detto
diritto si articoli in relazione al fatto  per  come  contestato  dal
P.M., occorre ritenere che, nel caso  di  modifica  dell'imputazione,
operata dal P.M. in forza di un suo atto  potestativo  come  previsto
dagli artt. 516 e 517 c.p.p., non possa disconoscersi all'imputato la
facolta' di optare per un rito  alternativo,  se  non  negandogli  il
pieno  esercizio  del  diritto  di  difesa   pur   costituzionalmente
tutelato. 
    Appare quindi in contrasto con l'art. 24 Cost. (nonche' dell'art.
117 Cost. quale norma mediatrice della rilevanza  costituzionale  del
citato art. 6 CEDU) la disciplina dell'art. 516 c.p.p. nella parte in
cui - pur in esito alle pronunzie n. 333/2009  e  n.  237/2012  della
Corte costituzionale - tuttora non prevede il  diritto  dell'imputato
di chiedere di definire la propria posizione processuale con un  rito
alternativo,  laddove  il   P.M.   abbia   proceduto   a   modificare
l'imputazione   per   adeguarla   ai   fatti   (diversi   da   quelli
cristallizzati nell'imputazione  o  comunque  gia'  risultanti  dagli
atti) emersi nel corso del dibattimento; e  cio'  a  prescindersi  da
ogni valutazione in ordine  alla  prevedibilita'  o  meno,  da  parte
dell'imputato, della possibilita' di una  modifica  dell'imputazione,
tale valutazione implicando  di  per  se',  tra  l'altro,  oltre  che
l'esercizio  di  poteri  precognitivi  potenzialmente  eccedenti   le
facolta'  umane,  anche  l'implicito   assunto   della   colpevolezza
dell'imputato  o  della  sua  piena  consapevolezza  in  ordine  agli
accadimenti storici e fattuali sottesi al  processo,  che  appare  in
contrasto, altresi', con la presunzione di non colpevolezza anch'essa
oggetto di previsione costituzionale ai sensi dell'art. 27,  comma  2
Cost. 
    Tali valutazioni appaiono peraltro in linea con  quanto  ritenuto
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 237/2012, allorche'  ha
affermato la incostituzionalita' dell'art. 517 c.p.p. nella parte  in
cui non prevedeva la facolta' dell'imputato  di  richiedere  un  rito
alternativo in relazione al reato concorrente emerso  nel  corso  del
dibattimento ed oggetto  di  contestazione  suppletiva  ex  art.  517
c.p.p., apparendo invero che non vi  sia  alcuna  differenza  tra  le
esigenze   difensive   poste    all'imputato    da    una    modifica
dell'imputazione, tanto allorche' l'oggetto del processo subisce  una
modifica a seguito di una contestazione suppletiva che cada sul fatto
originario, quanto nel caso in cui la  modifica  interessi  un  reato
concorrente. 
    Ne consegue, altresi', che  l'attuale  disciplina  dell'art.  516
c.p.p., nella parte in cui non consente all'imputato di richiedere il
rito abbreviato nel caso in cui il P.M. proceda a contestare un fatto
diverso  emerso  nel  corso  del  dibattimento,  si  pone  anche   in
violazione dell'art. 3 Cost.,  in  quanto,  per  l'ipotesi  suddetta,
introduce un trattamento deteriore rispetto alla fattispecie  di  cui
all'art. 517 c.p.p., per piu' versi analoga a quella di cui  all'art.
516 c.p.p. e connotata dalle stesse esigenze difensive  in  relazione
alla modifica dell'imputazione.